minnie-zhou-5ncvXQ3Ii7A-unsplash-1200x800.jpg

30 Marzo 2020

La terapia miofunzionale è un metodo rieducativo che ha come obiettivo il ripristino del tono e della motilità della muscolatura oro-facciale e quindi la correzione di funzioni che sono appannaggio dell’apparato stomatognatico: deglutizione, masticazione, respirazione e fonazione. 

Spesso questa terapia viene prescritta in caso di deglutizione disfunzionale. Che cos’è? Si definisce come il permanere di uno schema motorio di tipo infantile anche dopo l’eruzione di tutti i denti. La lingua non esercita pressione nella zona delle rughe palatine, bensì effettua una spinta anteriore sulle arcate dentali oppure si può interporre tra di esse. Inoltre viene ingaggiata anche la muscolatura mimica (quella di mento, labbra e guance), che normalmente non entra in gioco durante l’atto deglutitorio e magari non viene invece utilizzata l’appropriata muscolatura masticatoria. 

Nella fase di crescita in cui le ossa sono fortemente plasmabili, uno schema motorio non fisiologico può causare l’insorgenza di alterazioni dento-scheletriche che a loro volta vanno ad influenzare negativamente la funzione, innescando così un circolo vizioso dal quale è difficile uscire se non si agisce in maniera adeguata. 

Quali sono quindi le cause di una deglutizione disfunzionale? Sono diverse e sono legate a stili alimentari, abitudini errate o possono essere di origine ereditaria, genetica o generate da patologie. 

  Per quanto riguarda le prime, si annoverano “errori dietetici” riguardanti il mancato o breve allattamento al seno, lo svezzamento ritardato, l’uso prolungato di biberon e un’alimentazione povera di cibi duri da masticare. Lo svezzamento dovrebbe iniziare attorno al 6° mese e l’uso del biberon non dovrebbe portarsi oltre il 12° mese (avendo comunque cura di scegliere tettarelle adeguate, anatomicamente più simili possibili al seno materno ed evitare assolutamente fori troppo larghi che non stimolano affatto lo sforzo muscolare che invece richiede la suzione e che piuttosto lasciano defluire il liquido nel cavo orale del bambino solo grazie alla forza di gravità). Infine, la funzione masticatoria va stimolata attraverso un aumento della consistenza degli alimenti. Tipicamente ai bambini con deglutizione disfunzionale “non piace la carne”, e spesso il genitore riferisce in effetti difficoltà a masticarla. Infatti quella della carne è tra le consistenze più ostiche da masticare e forse quindi non è un problema di gusto, quanto piuttosto un problema a triturare e gestire un boccone per loro difficile. 

  Invece per quanto concerne le abitudini errate, si intendono tutte quelle parafunzioni che stimolano in maniera errata il distretto orale: succhiamento del dito o del ciuccio, del labbro o delle guance, lapis ed onicofagia. Questi vizi vanno a modificare la posizione linguale e la struttura delle arcate dentali conducendo a malocclusioni e deglutizione disfunzionale. Condizione essenziale infatti per la buona riuscita di una terapia miofunzionale è prima di tutto l’eliminazione di queste abitudini. 

  Tra le cause, venivano infine citati fattori ereditari che possono influenzare la forma del palato e delle vie aeree o il tipo di occlusione; fattori genetici riscontrabili in quadri sindromici con conseguente dismorfosi dell’apparato stomatognatico e poi specifiche patologie, ad esempio quelle molto frequenti nei bambini come ipertrofia adenoide o tonsillare e malattie allergiche che conducono a respirazione orale. 

Questo problema della respirazione orale meriterebbe un capitolo a parte, dal momento che un bambino su tre (secondo recenti statistiche) respira male, cioè con la bocca e che l’aumento di questo fenomeno negli ultimi anni è stato addirittura del 50%. Ma per ora ci basti dire che se il naso è chiuso, la bocca sarà aperta e se la bocca sarà aperta si avranno ripercussioni negative sull’intero organismo (tra cui una deglutizione disfunzionale appunto, ma non solo). Più si respira a  bocca aperta e meno il naso sarà pervio o comunque più facilmente si possono contrarre raffreddori, tonsilliti, otiti etc…; la digestione apparirà più lenta e faticosa per l’aria che si ingerisce durante l’alimentazione; la qualità del sonno subisce un peggioramento, che avrà come conseguenza disturbi quali irrequietezza e cali di attenzione; si possono verificare episodi di scialorrea o enuresi notturna o ancora si possono riscontrare anomalie cranio-maxillo-facciali dovute ad un anomalo posizionamento della mandibola che non si sviluppa normalmente a causa della postura alterata (bassa) della lingua durante la respirazione orale. 

Insomma respirazione orale, abitudini viziate, alterazioni dento-scheletriche e squilibri della muscolatura oro-facciale, non permettono la normale e fisiologica evoluzione della funzione deglutotria, diventando causa ma anche conseguenza di una deglutizione disfunzionale, perché il perdurare di schemi motori atipici potenzia la disfunzione primaria. Come a dire, ad esempio, che se deglutisco male perché sono un respiratore orale, la mia deglutizione disfunzionale renderà ancora più difficile la possibilità che io possa respirare fisiologicamente dal naso. 

Una corretta valutazione delle cause e conseguenze di uno squilibrio muscolare oro-facciale, sarà quindi fondamentale per impostare la giusta terapia, così come fondamentale sarà il coinvolgimento di figure professionali quali l’otorino, l’ortognatodonzista e l’osteopata. 

L’età più indicata per questo tipo di terapia si aggira tra i 6 e gli 11 anni, per un maggior coinvolgimento e motivazione del bambino, ma ciò non toglie che si può agire prima, per lavorare sulla corretta igiene nasale, quindi la corretta respirazione, o l’eliminazione di abitudini viziate o si può lavorare dopo, da adolescenti o adulti. Le variabili sono tante e a causa della multifattorialità del processo patologico non ci può essere un iter terapeutico rigido e univoco, ma tendenzialmente la parte intensiva della TMF (terapia miofunzionale) dura circa 3 mesi, ai quali seguiranno controlli per verificare il consolidamento dei nuovi schemi motori appresi, fino alla totale acquisizione. 

Manuela Ciuffa

mio-figlio-non-parla-1200x800.jpg

12 Marzo 2020

Questa la domanda che si pongono molte mamme preoccupate, dal momento in cui il loro bambino quando vuole si fa capire, sembra sveglio e ha l’aria di chi comprende tutto (o comunque quasi tutto) quel che gli si dice, ma non parla o parla poco… 

Con buona probabilità siamo di fronte ad un late talker, cioè un “parlatore tardivo”.

Tecnicamente è un bambino che sviluppa competenze linguistiche a 24-36 mesi, età in cui la maggior parte dei bimbi usa già il linguaggio per comunicare e costruire conoscenze sul mondo.

Anche se effettivamente lo sviluppo del linguaggio è caratterizzato da una grande variabilità interindividuale, dovuta tanto alla costituzione biologica del soggetto, quanto a fattori ambientali (stimolazione famigliare, presenza di fratelli e/o sorelle, inserimento precoce a scuola etc…), sono sempre di più i bambini che sono indietro rispetto alle normali tappe di sviluppo (per citarne alcune: le prime paroline intorno ai 12 mesi, la successiva esplosione del vocabolario tra i 18 e i 20 mesi…)

Questi bambini in ritardo non necessariamente svilupperanno un vero e proprio disturbo di linguaggio (dsl), anzi le statistiche sono rincuoranti: solo il 13-20% a 24 mesi è un late talker, e solo il 3-5% evolve in dsl a 36 mesi (età che fa da spartiacque tra un semplice ritardo e la possibilità di diagnosticare un vero e proprio disturbo del linguaggio). Esiste infatti la probabilità che vostro figlio recuperi in circa un anno il divario rispetto ad un fisiologico sviluppo del linguaggio (in questo caso parliamo di late bloomer). 

Per quanto riguarda questa possibilità di recupero, i fattori in gioco sono svariati. Molto dipende dallo sviluppo fonologico, cioè da come si evolve la capacità del bambino di discriminare e produrre suoni, letterine per intenderci, che verranno messi poi in sequenza per formare parole ed in seguito frasi. Inoltre sono coinvolte le abilità di gioco, in particolare il gioco simbolico, cioè il “far finta” e le abilità fini-motorie (delle dita delle mani) e gestuali. 

Quando preoccuparsi?

Però se il vostro bambino a 24 mesi ha un vocabolario composto da meno di 10 parole e a 30 mesi la produzione di parole non ha superato le 50 unità e non è ancora comparsa la capacità combinatoria (cioè la capacità di mettere insieme due o più vacaboli per formare piccole frasi, come ad esempio “voglio pappa”), è allora decisamente il caso di rivolgersi ad uno specialista (Neuropsichiatra infantile, Logopedista) per un consulto. 

Verrà eseguita una valutazione completa, che comprende inizialmente una raccolta anamnestica, cioè un colloquio con i genitori in cui si ripercorrono le tappe dello sviluppo del bambino alla ricerca di fattori di rischio e indici che possano poi orientare meglio la seconda parte della valutazione, cioè test da fare direttamente col bambino. Tali prove indagheranno le abilità comunicativo/linguistiche, di gioco, grafiche e prassiche e potranno includere un’osservazione del distretto oro-facciale o quanto altro possa essere utile per delineare un profilo di sviluppo e decidere se è il caso di intraprendere un iter terapeutico o se si può aspettare, dando in questo caso consigli ai genitori su come stimolare al meglio il bambino, affinché sviluppi il linguaggio e le altre abilità che ne sono precursori. 

Fondamentale affermare che avviare per tempo un trattamento migliora gli esiti finali, quindi non sempre è bene dare ascolto a consigli quali “aspetta che poi parlerà”. Inoltre esiste una forte correlazione tra dsl e dsa (disturbi specifici dell’apprendimento: dislessia, disortografia, discalculia e disgrafia), vale quindi a dire ricadute sulle future competenze di letto-scrittura e calcolo. Arrivare a scuola avendo trattato problematiche sul versante del linguaggio, significa quindi prevenire eventuali difficoltà negli apprendimenti accademici. 

Manuela Ciuffa

pediatra-dsl.jpg

18 Settembre 2015 0

Partendo dal presupposto che una diagnosi precoce incide positivamente sull’outcome di un disturbo di linguaggio, e aggiungendo il dato di fatto che molte mamme si aspettano che siano figure professionali come quella del pediatra (o delle maestre) a segnalare eventuali problematiche nel bambino, ecco qui di seguito alcune indicazioni che possono aiutare il pediatra a rilevare i segni iniziali di un ritardo o di un disturbo di linguaggio e di conseguenza segnalare ai genitori il rischio.

Inizialmente, in caso di dubbi, il medico potrebbe richiedere un esame audiometrico e una visita dal neuropsichiatra infantile. Continuare poi a monitorare l’evoluzione del linguaggio (il progresso degli aspetti fonetico-fonologici, l’accrescimento del vocabolario, lo sviluppo della competenza morfosintattica…) e prestare attenzione ad eventuali comorbiditá (disturbi della relazione, disturbi dell’apprendimento…).

Come valutare tutto ciò? Vagliando innanzitutto la presenza di alcuni indicatori di rischio:

  • familiarità per ritardo/disturbo di linguaggio
  • presenza di otiti ricorrenti nei primi 2-3 anni di vita
  • difficoltà di comprensione del linguaggio verbale
  • produzione inferiore alle 10 parole a 24 mesi
  • produzione inferiore alle 50 parole e assenza di combinazione di almeno 2 parole a 30 mesi

Se a 30-36 mesi il bambino sembra presentare un significativo ritardo di linguaggio, ed in particolare questo include difficoltà di comprensione, il pediatra dovrebbe consigliare ai genitori di intraprendere un trattamento, che includerà un’iniziale visita dal neuropsichiatra infantile e poi l’invio dal logopedista; viceversa potrebbe programmare dei follow-up ravvicinati e nel frattempo dare consigli ai genitori su come stimolare adeguatamente il figlio, se non sono evidenti le problematiche a livello di comprensione. Tuttavia, se la situazione non migliora nell’arco di altri 6 mesi, il bambino è ormai giunto ad un’età spartiacque tra un ritardo e un disturbo di linguaggio, quindi sarà il caso che il bambino venga preso in carico dallo specialista.

Potrebbe essere utile uno strumento come il Primo Vocabolario del Bambino (un questionario per la valutazione del linguaggio nei primi anni di vita).

Manuela Ciuffa

gioco-bambini-sviluppo.jpg

2 Settembre 2015 0

Per i bambini il gioco è la realtà attraverso cui apprendono, si relazionano, crescono e si divertono. Giocare è quello che vorrebbero (e devono!) fare per la maggior parte del loro tempo.
Potremmo grossolanamente distinguere due categorie di gioco:

  • il gioco di esercizio (0-24 mesi circa), coinvolge le strutture percettive e motorie, il bambino sperimenta le capacità del proprio corpo, appunto esercitandosi e cimentandosi in attività (giochi) motorie di vario tipo;
  • il gioco simbolico (dai 24 mesi circa), in cui sono implicate capacità di simbolizzazione, rappresentazioni mentali: immaginare oggetti non presenti, evocare situazioni e contesti…
    Quindi gioco simbolico significa “agire come se”, “far finta di” e implica la presenza dell’oggetto neutro (cioè un oggetto usato come se fosse un altro, ad esempio una penna usata come fosse un cucchiaino).

Quello che ci interessa particolarmente è proprio questo secondo tipo di gioco, dal momento che le capacità simboliche necessarie per metterlo in atto sono fortemente collegate al linguaggio: la capacità di usare le parole intese come simboli al posto dell’oggetto reale affonda le sue radici nella competenza simbolica emersa nel e con il gioco.

I processi che devono maturare al fine di sviluppare un buon gioco simbolico sono i seguenti:

  • processo di decentramento (capacità di eseguire azioni di gioco su altri)
  • processo di decontestualizzazione (capacità di eseguire azioni della vita reale ma in contesti diversi da quelli ordinari)
  • processo di integrazione (capacità di eseguire azioni a diversi partner in sequenza e coordinare diverse azioni in strutture temporali e causali coerenti)

Le tappe dello sviluppo del gioco del bambino

Ripercorriamo insieme le tappe di sviluppo del gioco di un bambino, precisando che la schematizzazione non è realmente così rigida e che quindi alcune tappe potrebbero accavallarsi:

  • prima dei 12 mesi: attività unitarie funzionali (un unico effetto su un singolo gioco, ad es. scuotere sonaglino, tirare una palla… attività apprese per imitazione)
  • dai 12 ai 18 mesi: schemi di azione con oggetti e attività combinatorie (usa oggetti simili ai reali e associa due funzioni, anche se in modo inappropriato, ad es. mette un coperchietto su una tazzina)
  • dai 18 ai 24 mesi: schemi di azione e attività combinatorie (stavolta le funzioni vengono associate in modo appropriato ottenendo un risultato funzionale, ad es. il coperchio sulla pentolina, inoltre compare l’oggetto neutro)
  • dai 24 ai 30 mesi: sequenze di simbolizzazione (il bambino “fa finta”, gioco simbolico che è prima autodiretto e poi eterodiretto, quindi ad es. il bambino fa finta di bere e in un secondo momento farà bere anche mamma o dei pupazzi; tali azioni simboliche saranno poi anche messe in sequenze temporali, ad es. prima fa finta di mettere lo zucchero e poi fa finta di girarlo)
  • dai 30 ai 36 mesi: drammatizzazione (rievoca in maniera canonica eventi della vita quotidiana)
  • dopo i 36 mesi: alta simbolizzazione (le drammatizzazioni riguardano anche altri bambini che collaborano nello svolgere un tema)

In definitiva, dall’osservazione di gioco di un bambino si possono ricavare informazioni preziose ed importanti sul suo sviluppo cognitivo, relazionale e comunicativo-linguistico.

Manuela Ciuffa

chiara-fantacci-psicologa-infantile-castelli-romani-e1430761051370.jpg

4 Maggio 2015 0

Vi presento la nuova collaborazione aperta presso lo studio di Via Tacito 9 ad Albano Laziale con la dott.ssa Chiara Fantacci, psicologa dell’età evolutiva. Sarà possibile chiedere un consulto alla dottoressa previo appuntamento contattandola al numero 333 894 5577.

Ho chiesto alla dottoressa di presentarsi e offrire una breve panoramica delle consulenze che può offrire.

Chi sono

La mia formazione accademica si esplicita attualmente con la frequentazione della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale presso l’Istituto A.T. Beck, diretta dalla Dottoressa Antonella Montano e ufficialmente riconosciuta dal MIUR. Ho conseguito la laurea magistrale, con il massimo dei voti, in Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione nel 2011. Ho trascorso, inoltre, un periodo di frequentazione volontaria presso il Reparto di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Sono iscritta all’Ordine degli Psicologi del Lazio – Nr. 19486.

Ciò che motiva il mio lavoro è il desiderio di offrire sostegno, professionalmente valido, rivolto ad una tra le fasi di sviluppo più delicate e, nello stesso tempo, turbolente della vita: l’età evolutiva. A tal fine cerco di mantenere la mia formazione continuamente aggiornata ed aperta a nuovi stimoli professionali e/o personali.

Di cosa mi occupo

  • Psicodiagnosi, supporto psicologico
  • Consulenze per gli insegnanti
  • Difficoltà di crescita
  • Disturbi del sonno
  • Gelosie tra fratelli
  • Disturbi d’ansia e paure
  • Difficoltà emotive e/o relazionali
  • Problemi comportamentali
  • Difficoltà di attenzione e iperattività
  • Percorsi di orientamento scolastico e professionale
  • Adolescenze problematiche
  • Mancanza di comunicazione
  • Riabilitazione neuropsicologica
  • Separazione genitoriale
  • Sostegno psicologico rivolto al bambino/adolescente
  • Sostegno psicologico rivolto alla coppia genitoriale

Sono a disposizione di tutti i genitori che vogliano avere un parere professionale sul percorso da far intraprendere ai propri figli. Potete contattarmi al numero 333 894 5577 per fissare un appuntamento presso lo studio di Albano Laziale.

 

Manuela Ciuffa

balbuzie-terapia.jpg

7 Aprile 2015 0

Così come indicatop da Wikipedia la balbuzie è:

…un disordine della parola in cui la fluidità è interrotta da ripetizioni involontarie e prolungamenti di suoni, sillabe, parole o frasi, e da involontarie pause o blocchi per i quali la persona che balbetta non riesce a produrre suoni. Il nome utilizzato per questi impedimenti della parola è disfluenze verbali.”

Tutti i bambini che stanno imparando a parlare “soffrono” di disfluenza tipica, che con l’età regredisce in maniera spontanea. Solo nell’1% dei casi si trasforma in disfluenza atipica, ovvero la balbuzie. Le cause non sono ancora definite, generalmente la presenza in famiglia di un balbuziente favorisce l’insorgenza del disturbo, ma sono anche altri i fattori scatenanti, legati alla vita familiare, a volte troppo frenetica ed esigente per il bambino.

La terapia per la balbuzie è un percorso lungo e complesso, che vede anche il coinvolgimento della famiglia del bambino. È infatti fondamentale trovare la strada giusta per ridurre o eliminare gli stress comunicativi, che provocano nel bambino la disfluenza. Oltre agli incontri dovrà essere seguito un percorso terapeutico specifico, diverso per ogni caso e legato alla gravità del disturbo.

Se vuoi avere informazioni su come effettuare una terapia per la balbuzie

contattare logopedista

Manuela Ciuffa

ddai-iperattività-infantile-terapia.jpg

7 Aprile 2015 0

Il DDAI, il Disturbo di Attenzione e Iperattività, o ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder) è un disturbo che si presenta nei bambini in un’età compresa tra tra i 3 e i 4 anni. Il problema del DDAI è molto diffuso tanto che è considerato uno dei maggiori in termini di spesa sanitaria, oltre a essere il principale problema comportamentale che sorge nell’età infantile.

Il disturbo dell’attenzione e iperattività non è un problema che si risolve con il tempo, anzi, se non viene adeguatamente curato con terapie specifiche, si può intensificare e persistere nell’età adulta. Le cause dell’ADHD sono ancora oggetto di studi, seppure la maggior parte dei ricercatori lo consideri un disturbo poligenico, cioè legato alla disfunzione di alcuni geni attivi durante la formazione e lo sviluppo della corteccia pre-frontale e dei gangli basali.

I sintomi del DDAI

I bambini affetti da ADHD si distraggono con estrema facilità sin da piccoli e nel tempo diventano sempre più ingestibili e iperattivi. Durante le ore di scuola non stanno mai al loro posto, sono impulsivi, litigano con i compagni e molto spesso ciò li porta a essere allontanati dagli altri. Le maggiori difficoltà di apprendimento sono nelle aree verbali, specialmente nella lettura; mentre nelle materie come matematica, educazione fisica, arte e disegno si hanno i risultati migliori. Difficilmente riescono a portare a termine compiti, incarichi o giochi, dimenticando lo scopo di ciò che avevano iniziato a fare. Seppure lo sport sia un ambito in cui ci sono buoni risultati il comportamento rimane impulsivo e si presentano difficoltà di coordinazione.

Se il DDAI non viene adeguatamente curato nell’età adulta il soggetto presenta disturbi dell’adattamento sociale (personalità antisociale, alcoolismo, criminalità), basso livello accademico ed occupazionale e problemi psichiatrici.

Come comportarsi con un bambino affetto da DDAI

Ci sono una serie di comportamenti che insegnanti e genitori devono mettere in atto per aiutare il bambino nel miglioramento, chiaramente associando ad essi una terapia specifica effettuata da uno specialista.

Per contenere l’iperattività:

  • Dare compiti che permettano il movimento controllato;
  • a scuola permettere di stare in piedi vicino al posto;
  • dare il permesso di svolgere alcune attività come premio in caso di successo;
  • usare metodi che incoraggino la risposta attiva;
  • insegnare a formulare domande pertinenti;
  • incoraggiare la compilazione di un diario giornaliero.

Per contenere l’impulsività:

  • incoraggiare a terminare i compiti partendo dalle parti più semplici e richiedendo aiuto per quelle più complesse;
  • insegnare a sottolineare o riscrivere i testi prima di cominciare a studiarli o prima di cominciare a svolgere un compito;
  • incoraggiare a prendere appunti;
  • insegnare a riconoscere i turni di conversazione, in maniera da evitare le continue interruzioni.

Per evitare la disorganizzazione:

  • insegnare a creare liste, diari, appunti che aiutano a organizzare il lavoro;
  • creare abitudini che riguardano l’ordine delle cose (libri, giochi, oggetti personali sempre nella stessa posizione);
  • dividere i compiti assegnati in aotto-attività (di cosa ho bisogno, cosa devo fare per primo e così via);

Per migliorare l’autostima:

  • riconoscere tutti i miglioramenti e i successi raggiunti;
  • evidenziare i successi, minimizzando gli errori;
  • cercare insieme una strategia da adottare per migliorare i lati negativi.

Se vuoi avere informazioni su come effettuare una terapia logopedica per il DDAI

contattare logopedista

Manuela Ciuffa

terapia-disturbi-specifici-linguaggio.jpg

7 Aprile 2015 0

Un ritardo nello sviluppo del linguaggio è una condizione frequente nei bambini in età prescolare, solitamente è di tipo transitorio e con un’adeguata terapia per i disturbi specifici del linguaggio si possono raggiungere risultati notevoli. I Disturbi Specifici del Linguaggio (DSL) si differenziano dai disturbi secondari, che sono cioè una conseguenza di un disturbo primario (deficit neuromotori, sensoriali, cognitivi e relazionali).
Un dato importante da considerare è che i bambini affetti da Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) nel 30-40% dei casi sono affetti DSL, come anche circa il 50% bambini affetti da Disturbi Specifici del Linguaggio che non hanno seguito una terapia logopedica adeguata presentano problemi di apprendimento nei primi anni scolastici.
I DSL si manifestano in diversi modi, l’ICD 10 dell’OMS riporta tre tipologie:

  • Disturbo specifico dell’articolazione e dell’eloquio: le capacità comunicative del bambino sono ridotte a causa della non completa acquisizione dell’abilità di produzione dei suoni verbali.
  • Disturbo del linguaggio espressivo: le capacità di espressione sono nettamente al di sotto della norma, mentre le capacità di comprensioni rientrano negli standard.
  • Disturbo della comprensione del linguaggio: la comprensione del linguaggio non è coerente con l’età anagrafica del bambino.

Lo sviluppo delle capacità verbali è soggetto a molteplici variabili. In generale si può dire che intorno ai 24 mesi i bambini conoscono circa 100 parole, mentre già a 30 mesi hanno una vera e propria esplosione e riescono ad apprendere rapidamente nuovi vocaboli e a cominciano a formare frasi di senso compiuto. Il parametro da tenere più in considerazione è la comprensione, se questa è nella norma si possono aspettare anche i 36 mesi prima di cominciare una terapia per i disturbi specifici del linguaggio.

Se vuoi avere informazioni su come effettuare una terapia per i DSL

contattare logopedista

Manuela Ciuffa

dislessia-terapia.jpg

7 Aprile 2015 0

I disturbi specifici dell’apprendimento riguardano la lettura (dislessia); la scrittura (disortografia) e il calcolo (discalculia). Si manifestano nel 2,5-3% dei bambini in età scolare, spesso in maniera associata. Il più diffuso, e conosciuto, è la dislessia, che rende la lettura lenta e/o scorretta.

La diagnosi viene generalmente effettuata alla fine del secondo anno di scuola primaria per dislessia e disortografia, per la discalculia occorre attendere la fine del terzo anno. La sua esecuzione richiede un’attenta anamnesi e un esame neurologico e neuropsicologico. La diagnosi nei giusti tempi consente al bambino di evitare inutili stress, che si manifestano sia a casa nell’esecuzione dei compiti, sia a scuola, quando si trova ad affrontare situazioni difficili, come leggere e fare i conti di fronte ai compagni. L’anamnesi neurologica e neuropsicologica serve a stabilire se ci si trova di fronte a Disturbi Specifici dell’Apprendimento o a Disturbi Atipici dell’Apprendimento, che dipendono da cause mediche, sensoriali o cognitive.

Terapia per la dislessia

Secondo la definizione approvata dall’International Dyslexia Association (IDA)
La dislessia è una disabilità dell’apprendimento di origine neurobiologica. Essa è caratterizzata dalla difficoltà a effettuare una lettura accurata e/o fluente e da scarse abilità nella scrittura (ortografia). Queste difficoltà derivano tipicamente da un deficit nella componente fonologica del linguaggio, che è spesso inatteso in rapporto alle altre abilità cognitive e alla garanzia di un’adeguata istruzione scolastica. Conseguenze secondarie possono includere i problemi di comprensione nella lettura e una ridotta pratica nella lettura che può impedire una crescita del vocabolario e della conoscenza generale“.

La terapia per la dislessia, come ogni altra terapia logopedica, deve essere personalizzata in base alle caratteristiche del bambino e al grado di difficoltà riscontrato  In generale durante la terapia si segue un itinerario volto alla riduzione dei problemi nelle capacità di base (percettivo-motorie e meta-fonologiche); mentre un altro itinerario è dedicato prettamente alle capacità di lettura.

Terapia per la discalculia

La discalculia viene definita dall’OMS come
disturbo specifico dell’apprendimento a prognosi organica, geneticamente determinato, espressione di disfunzione cerebrale. Esso non deve essere confuso con i profili di difficoltà procedurali nel calcolo scritto.

La discalculia si manifesta in una difficoltà nel riconoscere e denominare i numeri, nello scrivere i numeri, nell’associare al numero una quantità reale, nella capacità di elencare i numeri in ordine crescente e decrescente e nel risolvere problemi.

Terapia per la disortografia

La disortografia è un disturbo dell’apprendimento che riguarda la scrittura, chi ne è affetto non rispetta regole di trasformazione del linguaggio da parlato a scritto, nei casi in cui tale difficoltà non sia imputabile alla mancanza di esperienza o a deficit motori o sensoriali.

Solitamente per la sua cura interviene un esperto, a seguito di un’attenta valutazione neuropsicologica e da un’analisi delle reali difficoltà presenti. La terapia per la disortografia si svolge in sedute face-to-face con il paziente e d ha una durata variabile a seconda del soggetto.

Se vuoi avere informazioni su come effettuare una terapia per i disturbi specifici dell’apprendimento (DSA)

contattare logopedista

Manuela Ciuffa

terapia-miofunzionale-deglutizione-atipica.jpg

7 Aprile 2015 0

La deglutizione è un meccanismo che va incontro ad un cambiamento naturale passando dalla deglutizione infantile alla deglutizione adulta. Si parla di “deglutizione atipica” quando la deglutizione di tipo infantile persiste anche in età adulta ed è caratterizzata da un alterato comportamento della muscolatura masticatoria.

Le cause sono diverse:

  • può essere dovuta a abitudini alimentari errate (ad es. un allattamento prolungato o l’uso di tettarelle non adeguate);
  • abitudini viziate (ad es. la suzione del pollice o del ciuccio);
  • patologie (quali adenoidi o tonsille ipertrofiche, palato ogivale);
  • anomalie posturali (di lingua e mandibola o di capo-tronco-bacino).

La terapia di elezione per questa problematica è la terapia miofunzionale, il cui obiettivo è ripristinare uno squilibrio muscolare. La terapia miofunzionale serve quindi :

  • a correggere le abitudini viziate;
  • a favorire un corretto sviluppo muscolare;
  • ad aiutare il trattamento ortodontico;
  • a correggere ed evitare disordini articolatori del linguaggio;
  • a preparare al trattamento ortodontico;
  • a correggere dolori miofacciali;
  • a diminuire il bruxismo;
  • a migliorare l’estetica facciale.
La terapia miofunzionale logopedica può iniziare a qualsiasi età. Per i bambini di 3/4 anni lo scopo è abbandonare o eliminare i vizi di succhiamento, derivati dall’allattamento o dall’uso di biberon e ciucci. Per i bambini più grandi, di 7/8 anni possono ricevere già una terapia completa che consenta di correggere tutte le problematiche rilevate dalla logopedista.

Se vuoi avere informazioni sulla terapia miofunzionale per correggere la deglutizione atipica

contattare logopedista

Manuela Ciuffa


Contatti


Telefono

3398983876


Indirizzo

Via Romita, 21 – Genzano di Roma (RM)


Email

manuela.ciuffa@gmail.com




Social network


Facebook

facebook.com/LogopedistaCastelliRomani




Copyright 2019. All rights reserved. – Manuela Ciuffa – Logopedista dell’età evolutiva P.IVA 09734631006 Via G. Romita, 21 – Genzano di Roma (RM)- Tel. (+39) 3388983876 – manuela.ciuffa@gmail.com